Per chi volesse la versione audio (registrata da me, con la mia voce e il nuovo microfono): andate direttamente alla fine del post, la trovate insieme a foto e video <3 credo sia più leggero ascoltare che leggere, potete ascoltare mentre fate altro e credo sia più bella ed è per tutti voi che sostenete questo progetto che si chiama I AM A GEM, che significa che brilliamo sotto pressione e che ci formiamo solo dal peso che ci portiamo sopra.
Qui devo calibrare le energie, devo stare attenta a non usarle tutte per scrivere il diario di campo (sono pur sempre impegnata in una ricerca antropologica), o scrivere questa newsletter, o scrivere i messaggi ai miei amici, o scrivere la tesi.
Devo capire dove mettere le cose che voglio dire (quelle che posso dire), in quale di questi contenitori buttarle e spero che quello che ho deciso di dare a voi sia sufficiente. In caso, fatemelo sapere nei commenti.
Sono un po’ spaesata, lo ammetto. La prima settimana che sono arrivata ho preso la febbre, la seconda ho preso la guerra. Ora, invece, credo che questo posto mi piaccia perché mi sento attaccata ad una sorta di verità della vita, e capisco che quella che vivo in Italia è la vita burocratica, un incasellamento formale di comodità piacevoli che bilanciano la insidiosa spiacevolezza di tutto il resto.
Quello che mi manca dell’Italia è la CONAD. Se seguite questa newsletter, sapete già tutto del mio amore per la CONAD. Soprattutto mi manca l’olio extra vergine di oliva. Qui non esiste, quindi non so cucinare. Sai che bellezza allungare le mani sul piano della cucina e trovare l’olio extra vergine d’oliva? Dio benedica chi lo fa, chi raccoglie le olive, chi si impegna in qualcosa senza la gloria dei guadagni o dei riconoscimenti o di un tiktok. L’altra notte ho avuto un incubo: che non c’era più olio extra vergine d’oliva spremuto a freddo. Il poco rimasto costava tantissimo, che tutti i prodotti della conad costavano così tanto che nessuno poteva più permetterseli. Il latte, il burro, la mozzarella Sapori&Dintorni. E poi mi sono svegliata e pensavo dio che stupida che sono, perché è già così, per molti è già così e per me ancora no.
Oggi è domenica e sono andata in chiesa. Qui alcuni appunti dalla chiesa:
“La chiesa è un’aula dell’università. 9:39 inizia il discorso una giovane donna vestita di bianco che parla dietro un leggio coperto di verde. Sull’altare ci sono due crocefissi e uno ci guarda sul muro. Quelli appesi al muro sono sempre fluorescenti. A loro piace l’idea che ci sia una presenza eterna, anche con il buio, e forse è giusto, forse serve. La lavagna dietro al parroco ricorda che domani questa chiesa tornerà aula. Qui la conoscenza si mischia sempre ad altre cose. Le aule di sera diventano luoghi dove si balla. La conoscenza si emancipa dalla mente, trova il modo di diventare altro: passa per il corpo del singolo, per il corpo della comunità e per il corpo di cristo. Fatto sta che in quest’aula spoglia non ci sono punti da guardare come nelle chiese in italia: non ci sono i soffitti alti, gli affreschi, l’oro, i dettagli che ci ricordano che il cristianesimo è sinonimo di ricchezza (di chi?) e di bellezza (quale?). Qui è la prima messa della mia vita in cui non ci sono capelli bianchi ma treccine. La donna accanto a me mi traduce la messa “è la giornata internazionale della malattia”, mi dice qualcosa su Gesù, sui pesci e sui pescatori e io annuisco cercando di cogliere i suoi bisbigli. Poi si slaccia il vestito arancione con i ricami blu, rimane a petto nudo e allatta. Effettivamente a cosa servono gli affreschi se il seno della vergine lo hai accanto? I bambini sono tutti eleganti, polo lilla, bretelle, camicie e piccoli papillon blu. Il parroco ha un diario rosso come la francesca fagnani e le uniche parole che pronuncia in kinyarwanda (la lingua del rwanda) che capisco sono “Gesu” e “Cristu”. Al bambino cade la scarpa rosa con i fiorellini la raccolgo e mi ricordo che qui i maschi indossano i fiori e il rosa, che tra fratelli si baciano in bocca e che si tengono per mano e che per strada vedi solo le interazioni che riguardano la sfera dell’amicizia e mai quelle intime. Sono riservati. Ogni bambino porta a messa la sua salvietta. La ragazza con la camicia sfilacciata rosa mi ricorda quando mi preparavo per andare in chiesa. Mi sento che ora ho 10 anni, mi guardo allo specchio e mi chiedo se questa camicetta mi sta bene, se questo poliestere coprirà quello che deve, se il colore mi piace. Credo di essere sempre in dialogo con il mio passato e con il futuro, “credo” nel senso che ci credo davvero: forse adesso che sono qui, la me di 10 anni è davvero davanti allo specchio a provarsi una camicetta rosa e ora le ho detto (attraverso un’immagine o un sogno) che ero diventata grande e che ero in Africa oggi e così le ho cambiato per sempre la percezione della vita e di sé. Ora sono in completa estasi, quella delle suore mentre disegnano, la conoscete?, e non riesco più a scrivere questo diario. Passa il cesto delle offerte, si può pagare anche con MOMO PAY (una sorta di PayPal ruandese)”.
A volte mi vengono dei flash di quando da piccola ero sotto gli scivoli dell’aquafan di riccione, a confabulare con le mie amiche, a morderci i capelli bagnati di cloro e parlare di cose che avevano forma e molto senso quando sei in pre-adolescenza. Poi ti dimentichi di tutti quei momenti, ma credo che le cose che impari lì te le porti dietro e poi le chiami “intuito”.
Prima di andare in chiesa, oggi alle 9:30, avevo preparato per voi una lista di cose che ho visto e che volevo (e potevo) condividere. Lista, non diario. Ma se vi piace il diario di prima ditemelo che ne condivido altri.
Spesa che ho fatto in rwanda:
Riso della Tanzania, 1200 rwf
Pasta senza glutine garofalo, 5200 rwf
Miele, 3000 rwf
Yogurt, 2200 rwf
Cioccolato, 6000 rwf
Avocado, 400 rwf
Casco di banane, 700 rwf
Ananas, 500 rwf
1kg di fagioli, 1000 rwf
Prezzemolo, broccoli, melanzane, carote, cipolle 800 rwf
Altre cose che mangio in hotel:
Riso con pesce
Riso con pollo
Riso con verdure
Pesce e patate
Patate e piselli
Riso, patate e piselli
Patate, platano e pollo
Cose che ora ho davanti:
- Una tovaglia blu, rossa e bianca (le cose legate alla cucina qui sono frequentemente di questi tre colori, che sono i colori dell’argilla).
- Il camino.
- Un vaso di fiori.
- La pianta di avocado da cui cadono i frutti che rimbombano sul tetto e penso che un avocado ha lo stesso colore e la stessa forma di una granata.
- Dei cesti.
Parole che ho imparato:
-Murakoze! Grazie!
-Mwaramutse! Buongiorno!
-Mumeze mute? Come stai?
La quantità di cose che si possono trasportare in bici:
- alberi: alberi di ogni dimensione, alberi alti anche 6/7 metri, chiome tagliate degli alberi
- casse piene di bibite
- sacchi da almeno 50kg di patate
- sacchi pieni di sacchi
- almeno 20 taniche di acqua
- una persona seduta dietro, con sopra la testa una piccola zattera e sopra la zattera un intero negozio
Cose che ho visto guardando dal finestrino dell’autobus:
- un bambino di 8 anni portare sulla testa un grande carico di foglie seguito da un bambino di 5 anni con un piccolo carico di foglie e poi, corre impacciato per stare al passo, un bambino di 2 anni che con due mani sulla testa tiene stretto la sua piccola foglia.
- Donne zappare: chine in modo perfetto, sulla schiena legato un bambino, e indosso un vestito colorato.
- Le persone tornare a casa dopo il lavoro nei campi, e portarsi a casa la propria pala.
- Un ragazzo che corre sotto la pioggia con le sue due pecore marroni, sul bordo della strada, e un sacco di yuta a mo’ di giacca… molto Balenciaga.
- Tra le porte dei campi da calcio, le pecore mangiano l’erba: il prato è perfetto. L’economia è circolare.
- I bambini sdraiati sul prato a bordo della strada che guardano le macchine passare come se fossero al drive-in.
- Le aiuole perfette, le strade pulite, le donne e gli uomini che con delle piccole scope spazzano via la polvere dal marciapiede. Appunti dal mio diario:
“Curare una strada metro per metro, togliere a mano le erbacce e i fiori secchi. Sorridersi, aiutarsi, camminare per strada come se la città ci appartenesse. Penso all’Italia del dopoguerra e penso che anche da noi negli anni ‘50 forse era così e che quindi tutto questo sentimento sfumerà perché le cose le dimentichiamo e ora guardo alla cura di queste strade pensando chissà quanto durerà e chissà come sarà il dopo. L'Italia del dopo non è delle migliori. Penso alla signora bionda al bar di via Imbriani che mi racconta di come era bella via Spezia quando ci passava il tram. “Com'era bella via Spezia quando ci passava il tram”, dice, “E poi i bambini prendevano i tappi delle bottiglie, ci attaccavano su le figurine dei ciclisti e le facevano correre tra i binari, facevano le gare. Com'era bella via Spezia quando ci passava il tram”. Così ho la conferma che anche in Italia, ad un certo punto, sentivamo la città nostra, che c'era la percezione che la strada fosse un'estensione della sala, di un balcone, o di un giardino. Che era viva e bellissima.”
Qui di seguito un video, alcune foto, e la lettura di questo testo:
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